Master in Teatroterapia 2020

Ed eccolo qui! Un piccolo sogno, un punto di partenza: il master in Teatroterapia nell’anno in cui la pandemia costringe a chiudere i teatri. Ma cos’è la teatroterapia? Perché associare la parola “terapia” al teatro? Non si tratta di mescolare le carte, né di teatralizzare la terapia né di rendere patologico il teatro. Lasciamo ad ognuno la bellezza del suo essere.

La teatroterapia è l’incontro delle tecniche teatrali e della psicologia; uno strumento di cura e di crescita basato sul teatro. Essendo, appunto, strumenti che il professionista psicologo e/o psicoterapeuta può utilizzare sia sul singolo individuo, sia in gruppo, per consentire in modo diverso e, talvolta, attivo di avvicinarsi a contenuti psicologici difficilmente raggiungibili con la sola parola.

La parola “teatro” che si associa alla terapia non significa rappresentazione scenica bensì è un percorso che il terapeuta intraprende insieme al proprio cliente, favorendo la messa in scena come percorso interiore. Walter Orioli, psicologo e teatroterapeuta, nel suo libro del 2001 “Teatro come terapia” ricorda come la teatroterapia abbia in oggetto la «rappresentazione di un soggetto capace di esprimere la soggettività che l’esistenza contiene. L’invito è quello di farsi abitare fisicamente, poeticamente, eticamente dal teatro per scoprire che è l’arte, con i suoi nuovi principi di realtà, che ci recita, ci mostra qualcosa di noi che sana le ferite; come scenario che obbedisce a determinate regole, ma anche in qualità di trasposizione della vita stessa che spesso si presenta come finzione».

La Teatroterapia è una disciplina delle Arti terapie riconosciuta dalla legge. Può essere applicata in ambito preventivo, educativo e terapeutico. Non ha funzioni diagnostiche e non sostituisce cure farmacologiche, ma si affianca a queste, e va a rafforzare i punti di forza e le visioni di sé. La teatroterapia condivide il pensiero di Grotowski, secondo cui non ci si pone l’obiettivo di formare un attore nell’atto di insegnare qualcosa, bensì di eliminare le resistenze, le reticenze e le buone maniere che non permettono “l’atto totale”. Lavorare sul corpo, col corpo e grazie al corpo allo scopo di liberare energia pulsionale, energia che talvolta tende bloccare l’individuo. Lavorare sull’improvvisazione non significa nemmeno fare “una specie di psicodramma”. Sono due processi differenti e come spiega Orioli: “Nello psicodramma l’attore spontaneamente improvvisa una parte, che sarà fonte di catarsi profonda tra sé e il personaggio, spesso ispirato alla sua vita reale. Nella teatroterapia l’attore si prepara al lavoro attoriale con esercizi pre-espressivi ricavati dall’antropologia teatrale, quindi lontani dalla sua vita reale, è educato allo stare in scena da un training particolare che fa i conti con l’arte della presenza consapevole. Inizialmente è chiesto all’attore-paziente di non rappresentare nulla, ma di fare molta pulizia delle sue buone maniere, delle sue resistenze all’azione spontanea. Il processo di educazione alla scena va di pari passo con l’affrontare le sue resistenze, ma molto dolcemente.
Nello psicodramma si arriva subito e decisamente al nucleo della nevrosi o della psicosi, in teatrotroterapia la mediazione artistica permette un percorso più dolce. E’ il paziente che decide quando è il momento di approfondire il conflitto, o meglio, è la trasposizione artistica di corpo, voce, movimento a decidere la poetica terapeutica.”

La teatroterapia per me è stata la possibilità di sperimentare, implementare le mie conoscenze ed integrarle nel lavoro terapeutico. Permettere un lavoro con la persona che mi sta dinanzi che possa essere un lavoro totale, a 360°; facendo si che il cambiamento o la presa di coscienza di sé, delle proprie forze e dei propri limiti possa essere trasversale alla mente e al corpo. Considerare quest’ultimo non solo un contenitore dei nostri pensieri, bensì una parte integrante, del nostro essere. Sempre lo stesso Grotowski definisce il corpo il “tempio intramontabile del fatto teatrale”. Non significa adoperare sempre, ad ogni incontro con l’altro, gli strumenti che la teatroterapia offre; bensì avere la possibilità di lavorare con gruppi o con singole persone in modo differente a seconda delle necessità.

Federica Paglialonga

Plusdotazione intellettiva = APC = Alto Potenziale Cognitivo

Plusdotazione intellettiva = APC = Alto Potenziale Cognitivo

Il corso in 3 giornate organizzato dall’associazione IAG sulla plus dotazione e sui giovani e ragazzi APC, ovvero con un alto potenziale cognitivo mi ha aperto ulteriormente lo sguardo sulle neurodiversità. C’è ancora molto da imparare sulla plus dotazione che non è sinonimo di genio o di diverso. Sapersi accostare a questo mondo, a questi ragazzi e soprattutto alle loro famiglie. Il mio sguardo Sistemico mi permette di cogliere la capacità di accogliere tutta la famiglia e i loro vissuti. Ammetto che è solo un punto di inizio, una sfida per avere uno sguardo più ampio e una possibilità di raggiungere chi ancora non ha il giusto supporto a scuola e fuori dalla scuola.

Psicoterapia: individuale, famigliare, di coppia

Psicoterapia: individuale, famigliare, di coppia

È un percorso che, se si sceglie di fare, porta ad una maggiore consapevolezza di sé, dei propri punti di forza e dei propri limiti, agisce sui cambiamenti individuali o di coppia o familiari. Nel mio indirizzo lavorativo opero sia con i singoli sia con le coppie che decidono di ri-scoprirsi e conoscersi in modo differente, specie se dettati da momenti dolorosi che focalizzano l’attenzione sul disagio, ma anche con le famiglie, con quei nuclei in cui gli intrecci delle storie si bloccano non consentendone la naturale evoluzione e portando l’intera famiglia ad una sofferenza condivisa.

La psicoterapia non è sostituirsi al singolo, alla coppia o alla famiglia, ma accompagnare, condividere e fornire punti di vista differenti a quelli che creano disagio e sofferenza. È un percorso perché la risoluzione della problematica è un qualcosa da fare insieme, da attraversare, da conoscere per poter affrontare, prenderne consapevolezza e, talvolta, modificare. La psicoterapia è un volersi bene.

Terapia psicologica, si o no?

Terapia psicologica, si o no?

La terapia psicologica e psicoterapeutica è stata da sempre stigmatizzata, etichettata negativamente; ci sono diversi modi di guardarla. A me piace osservarla con rispetto, con delicatezza, con pazienza e gentilezza, anche, osando, un tocco di sacralità. Perché è un viaggio, una rivelazione che le persone si permettono e si concedono. È un viaggio spesso difficile, scomodo e ci vuole coraggio per fidarsi e affidarsi all’altro, per rivelare le proprie parti di sé, talvolta dolorose. Per questo rispetto chi, coraggiosamente, decide di intraprenderlo questo viaggio, non perché desideroso di osservare le proprie parti doloranti, ma perché fiducioso nel cambiamento possibile.

La psicoterapia non è un manuale di ricette e pozioni magiche che risolvono con un incantesimo, la psicoterapia è magia nel momento in cui ci si mette in gioco, ci si lascia guidare consapevoli che solo rischiando di cadere si può restare in equilibri. È quel brivido che percorre il bambino che, in sella alla bicicletta, abbandona le sicurezze per mettersi in moto: quella paura consapevole di potersi godere la possibilità di imparare a correre, a sentire di potercela fare da solo e di sentire la forza delle proprie gambe e il vento che attraversa i capelli e tutto il corpo. Questa è la psicoterapia, concedersi di potersi far prendere per mano e lasciarsi accompagnare per poi godersi il proprio viaggio.